Il trasferimento del lavoratore oltre 50 km dal luogo di residenza.
Per trasferimento del lavoratore si intende la variazione definitiva della sede lavorativa alla quale era stato originariamente assegnato e si verifica quando il datore di lavoro, nell’esercizio del potere di modifica unilaterale di alcune condizioni del contratto di lavoro di cui all’art. 2086 c.c., assegna il prestatore ad una nuova sede definitivamente.
Tale prerogativa deve in ogni caso essere esercitata nei limiti di cui all’art. 2103 c.c. che legittima il trasferimento ad una diversa unità produttiva solo in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.
Tuttavia, pur in presenza di tali comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, l’impatto che questa decisione può avere sulle condizioni di vita personali, lavorative e familiari del destinatario può essere così rilevante che l’INPS ormai da tempo ha parificato la scelta del prestatore di interrompere l’attività lavorativa a seguito di un trasferimento superiore a 50 km dalla residenza o che non sia raggiungibile, con i mezzi pubblici, in meno di 80 minuti ad una perdita involontaria dell’occupazione. In questa ipotesi l’adesione del lavoratore alla proposta risolutiva del datore di lavoro è equiparata alle dimissioni per giusta causa come fosse intervenuta in presenza di una giusta causa di recesso.
Tuttavia, la stessa INPS, nelle sue circolari, ha però precisato che le dimissioni per giusta causa provocate dal trasferimento oltre 50 km danno accesso alla Naspi purché il trasferimento non sia sorretto da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, così come previsto dall'articolo 2103 c.c. Il lavoratore che ha dichiarato di dimettersi per giusta causa a seguito del trasferimento, dunque, stando all’orientamento dell’Istituto dovrebbe corredare la domanda con una documentazione idonea da cui risulti almeno la sua volontà di agire in giudizio nei confronti del comportamento illecito del datore di lavoro.
Tuttavia, il Tribunale di Torino, con una sentenza del 2023, ha disapplicato tale prassi sostenendo che, a prescindere dalla legittimità o meno della scelta organizzativa datoriale, la decisione del lavoratore di dimettersi dopo aver subito un trasferimento di tale natura deve ritenersi una scelta imputabile a terzi, non volontaria ed a cui consegue il diritto di percepire l'indennità NASPI (Trib Torino Sez. lavoro, 27/04/2023, n. 429).









